burocratese, comunicazione e lavoro

Il Burocratese e l’antilingua, la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato

“Caratteristica principale dell’antilingua è quello che definirei il “terrore semantico”, cioè la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato […].

Nell’antilingua i significati sono costantemente allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli che di per se stessi non vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente” […]

Italo Calvino nel 1965 parlò di “antilingua” in un articolo de “Il Giorno”, ed immagina un cittadino che porge a un carabiniere la propria testimonianza relativa a un furto. Così si esprime l’interrogato:

Il brigadiere è davanti la macchina da scrivere. Seduto davanti a lui, risponde alle domande un po’ balbettando, ma attento a dire tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo:

“Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata”.

Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione:

“Il sottoscritto essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di aver effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante”.

[…]
Chi parla l’antilingua ha sempre paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla, crede di dover sottintendere: “io parlo di queste cose per caso, ma la mia funzione è ben più in alto delle cose che dico e che faccio, la mia funzione è più in alto di tutto, anche di me stesso”.

La motivazione psicologica dell’antilingua è la mancanza d’un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l’odio per se stessi.

La lingua invece vive solo d’un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d’una pienezza esistenziale che diventa espressione. Perciò dove trionfa l’antilingua – l’italiano di chi non sa dire “ho fatto” ma deve dire “ho effettuato” – la lingua viene uccisa.”

“Non sarai mai sicuro di aver davvero compreso qualcosa finchè non sarai caoace di spiegarlo a tua nonna” Albert Einstein

Spiega Daniele Fortis: La lingua dei burocrati è proverbialmente oscura e poco accessibile al comune cittadino, tanto da essersi guadagnata l’appellativo di burocratese, termine ironico e spregiativo, di coniazione relativamente recente…,che designa «il linguaggio complesso e oscuro usato, per abitudine e mancata attenzione alla chiarezza, nel settore della burocrazia dai funzionari che vi operano»… Per descrivere tale varietà di lingua sono stati e sono comunemente impiegati aggettivi come «contorto», «involuto», «astruso», «criptico», «pomposo», «ampolloso», «bizantino», «pedante» e simili. Per queste sue caratteristiche, il linguaggio amministrativo è stato spesso bersaglio di critiche e parodie.

Nel saggio Il plain language Fortis scrive: Si impiegano parole difficili per esprimere idee banali, si sfoggiano termini pseudo-tecnici che potrebbero essere sostituiti da parole comuni senza dispersione di significato. Molte espressioni burocratiche non rispondono all’esigenza di designare in modo non ambiguo un dato concetto tecnico, ma sono preferite per l’aurea di appartenenza professionale che emanano.

Il plain language  è l’antitesi del burocratese e dei suoi simili e nasce in reazione ad essi. Elimina le distanze che da sempre hanno contrapposto i dotti al resto del mondo. Oggi il popolo non è  più così ignorante come un tempo e competenza, cultura e informazioni sono alla portata di tutti e i paroloni non incuto più soggezione e non sono segno di superiorità.

Poniamoci due domande importanti:

1 cosa vuole sapere?

2 cosa è in grado di capire?

In contrapposizione a quanto appena affermato, nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis, di Ugo Foscolo, si legge che «i pubblici atti e le leggi sono scritte in una cotal lingua bastarda che le ignude frasi suggellano la ignoranza e la servitù di chi le detta» (Foscolo, 1987, p. 169).

E nel 1803, Vincenzo Monti denunciava «il barbaro dialetto miseramente introdotto nelle pubbliche amministrazioni, ove penne sciaguratissime propagano e consacrano tutto il dì l’ignominia del nostro idioma» (Tongiorgi e Frassineti, 2002, p. 280).

I tecnicismi sono importanti ma spieghiamoli senza altri tecnicismi.

Perchè in ambito aziendale si continua a scrivere in burocratese?

Il mio obiettivo è fornirti una serie di strumenti per rendere la comunicazione in azienda più chiara e immediata per dare efficacia al tuo marketing.

1 pensiero su “Il Burocratese e l’antilingua, la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato”

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